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Rumble è oggi una delle piattaforme più discusse, polarizzanti e studiate dai marketer di tutto il mondo. È diventata un fenomeno culturale prima ancora che una piattaforma video. Eppure c’è un dettaglio che moltissimi ignorano: Rumble non è nata per competere con YouTube sul terreno della massa, della viralità pop, dell’intrattenimento mainstream.

Rumble è nata come reazione. È nata come risposta a un vuoto. È nata per diventare rifugio, contenitore e poi sistema mediale alternativo per tutto ciò che non trovava posto nell’internet centralizzato e ipermoderato delle Big Tech. Questo è importantissimo da comprendere perché non è un dettaglio “narrativo”… è la base stessa del suo posizionamento marketing.

E questa scelta di posizionamento, estrema, controcorrente, non neutrale, è la cosa che ha trasformato Rumble da piattaforma marginale ad attore globale di cultura digitale. Rumble non ha costruito “audience”. Ha costruito la contro-audience.

1. L’Origine: Un Mercato Saturato Dominato da YouTube

Nel 2013 Rumble sembrava destinata a non lasciare traccia. YouTube era schiacciante, totalizzante, globalmente radicato nelle abitudini digitali. Aveva già creato standard culturali, standard tecnici e standard psicologici. Il settore era considerato già “vinto” da un solo player.

Entrare in quel mercato era quasi un suicidio industriale. E infatti, chiunque provò a competere tentò la via più logica… e più sbagliata:

copiare YouTube.

Questo è il classico errore strategico delle piattaforme follower: imitare il leader, inseguire feature, tentare di replicare la stessa esperienza… perdendo identità e posizionamento. Rumble fece l’opposto. Rumble non è entrato per rubare pubblico al mainstream. Rumble è entrato per essere l’alternativa culturale dove chi non aveva spazio poteva parlare.

YouTube iniziava ad essere percepito come piattaforma “filtrata”, normata, controllata, in cui algoritmi e policy decidevano cosa era “accettabile”.

Rumble ha costruito un posizionamento completamente ribaltato:

  • YouTube “definisce i confini”

  • Rumble “accoglie chi sta fuori dai confini”

  • YouTube decide chi è dentro

  • Rumble assorbe chi è stato spinto fuori

Questa è strategia sottrattiva pura: non rubare mercato al dominante… ma raccogliere ciò che il dominante rifiuta.

E questo è marketing identitario avanzato. Rumble ha trasformato il “non essere accettato dal sistema mainstream” in un simbolo. Un badge culturale.

Ha dato voce a creator, nicchie ideologiche, giornalisti, opinion leader, figure shadow-banned o penalizzate dagli algoritmi tradizionali.

Ha fatto della “contro-cultura algoritmica” un vantaggio competitivo. Rumble non ha promesso popolarità universale. Ha promesso libertà narrativa. E questo, nel digitale, è un valore più potente di qualsiasi feature.

2. Il Colpo di Genio: Monetizzare la Ribellione

Molti pensano che Rumble sia cresciuto grazie ai grandi influencer. Non è così. Questa è solo la superficie narrativa. Rumble è cresciuto grazie alla frizione sociale. L’elemento che ha generato accelerazione non è stato l’entertainment… è stato il conflitto.

Rumble ha capito qualcosa prima degli altri: nel digital world moderno, la polarizzazione genera più retention del contenuto “neutro”.

E quindi ha capitalizzato:

  • creators bannati o demonetizzati da altre piattaforme

  • giornalisti indipendenti censurati dai media tradizionali

  • commentatori politici e sociali ad alta tensione narrativa

Rumble non ha costruito una community generica. Ha costruito tribù. E le tribù sono più fedeli delle community.

Brand positioning:

Rumble non è definito come piattaforma video. Rumble è definito come diritto di pubblicazione.

Non è un “social” alternativo. È l’infrastruttura anti-silenzio.

E questo è potentissimo a livello psicologico: il valore percepito non è intrattenimento…la value proposition è libertà, autodeterminazione, possibilità di espressione senza filtri.

Il marketing non è stato push. È stato magnetico. Rumble non reclutava: assorbiva.

3. L’Ascesa: Da Underground a Player Globale

Il 2020 è il punto di rottura strategico. Mentre le piattaforme mainstream alteravano algoritmi, inserivano policy editoriali più rigide e intensificavano moderazioni, ban e shadow ban…Rumble ha avuto la sua open window storica.

Qui entra la parte geniale: Rumble non ha cercato di essere “per tutti”.

Ha scelto di essere la casa degli esclusi. E consolidando il polo polarizzato ha aumentato identità culturale, attaccamento e organic virality.

Risultato:

  • investitori istituzionali hanno iniziato a vederlo come alternativa reale agli oligopoli digitali USA

  • creators con milioni di utenti sono migrati portando pubblico reale, non “utenti da conquistare”

  • i media mainstream criticandolo e attaccandolo non lo hanno indebolito… lo hanno amplificato

Rumble non è cresciuto grazie alla massa. È cresciuto grazie all’attrito.

È cresciuto come contro-narrativa. E nella cultura digitale moderna, la contro-narrativa è il driver più rapido di espansione sociale.

4. La Lezione Marketing dietro il Caso Rumble

Questa è una delle lezioni più sottovalutate del marketing contemporaneo, soprattutto da chi ragiona ancora con mentalità broadcast anni ‘90. Molti brand pensano che per dominare devi piacere a tutti. Rumble dimostra l’opposto.

In alcuni mercati, soprattutto digitali e ad alta tensione sociale, è molto più potente diventare il punto di riferimento assoluto solo per una nicchia iper coesa… invece di essere un brand “accettabile” per tutti.

Il modello non è “market share generico”. È “cultural share verticale”.

Principio chiave:

  • non si conquista la massa

  • si conquista un’ideologia

  • e poi quella ideologia conquista la massa

Punti strategici che Rumble ha incarnato perfettamente:

  • Identità > Mass Market → l’identità è un asset, i volumi arrivano dopo

  • Polarizzazione intelligente > Moderazione sterile → chi si posiziona neutro diventa invisibile

  • Tribù > Pubblico indistinto → la tribù difende, parla, amplifica, fa attivismo spontaneo

Rumble non ha provato a convincere tutti. Ha fatto una scelta chirurgica, radicale, verticale. Ha parlato a chi non aveva più spazio sulle piattaforme tradizionali. E li ha presi tutti.

Questa è la differenza tra marketing che cerca consenso…e marketing che cerca potere culturale. Rumble non ha conquistato chi era dentro. Ha conquistato chi era stato lasciato fuori.

Conclusione: Rumble è il caso perfetto di Brand che cresce “contro” e non “grazie” al sistema

Il caso Rumble non è un caso di social media. È un caso di strategia culturale estrema.

Rumble dimostra che oggi il vantaggio competitivo non si crea copiando il leader dominante, ma intercettando ciò che il leader rifiuta, scarta o reprime. È qui che si aprono opportunità reali, profonde, inaspettate.

La vera domanda strategica non è: “come possiamo diventare i prossimi YouTube?”.

La domanda reale è:

quale identità, quale battaglia, quale ideologia possiamo diventare?

Il futuro del marketing non è nel persuadere tutti. È nell’avere il coraggio di scegliere chi sei disposto ad alienare pur di diventare irremovibile per una parte precisa del mercato. Rumble non ha semplicemente occupato uno spazio. Ha costruito un territorio culturale alternativo. E nel marketing contemporaneo, questo vale più di qualsiasi campagna pubblicitaria.

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